LA FORZA E L’ASTUZIA

     Nel suo trattato Il Principe Niccolò Machiavelli sostiene che il buon leader deve «essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi», ovvero sapere quando fare ricorso alla forza e quando all’astuzia. Una lezione evidentemente chiara a Giulio Cesare, le cui abilità strategiche e di condottiero sono state tramandate ai posteri grazie ai suoi Commentarii de bello gallico. In otto anni di campagne militari, grazie alla sua straordinaria rapidità e aggressività il proconsole sottomise tutta la Gallia al dominio romano, ampliando i confini della repubblica e rafforzando la propria posizione politica. Se con la conquista delle Gallie Cesare diede prova di forza, per potersi difendere dall’immenso esercito persiano guidato da Serse le polis greche dovettero fare ricorso all’astuzia. L’ateniese Temistocle tese una trappola al re di Persia per convincerlo ad attaccar battaglia nelle insidiose acque di Salamina, portando alla sconfitta dell’enorme flotta e alla salvezza delle città elleniche. Dal canto suo Isabella d’Este, marchesa di Mantova che conobbe di persona Machiavelli, comprese chiaramente che, data la ridotta forza militare del suo stato, la sua arma più potente sarebbe stata la diplomazia: e fu così che riuscì a difendere il marchesato dalle laceranti lotte rinascimentali, trasformandolo addirittura in un ducato. Forse però uno degli esempi più straordinari d’intelligenza politica è quello incarnato dall’imperatore Federico II in occasione della sesta crociata: grazie ai negoziati e a un matrimonio, conquistò la Terra Santa senza versare una goccia di sangue. Alcuni cristiani per questo lo accusarono di eresia: ma, come disse Machiavelli, «si vede […] quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare e’ cervelli degli uomini».