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Massimo Gallo

CERVELLO IN FUGA?

Ettore Majorana

“Ettore Majorana, ordinario di Fisica teorica all’Università di Napoli, è misteriosamente scomparso dagli ultimi di marzo. Di anni 31, alto metri 1,70, snello, con capelli neri, occhi scuri, una lunga cicatrice sul dorso di una mano. Chi ne sapesse qualcosa è pregato di scrivere”.

    Comincia così, con questo appello del 17 luglio 1938 sulla Domenica del Corriere, uno dei misteri italiani più indagati di sempre. Il caso si era aperto il 26 marzo, quando il celebre fisico Ettore Majorana aveva fatto perdere le sue tracce. Da allora, per oltre ottant’anni, la domanda è rimasta la stessa: che fine ha fatto? In molti hanno cercato di svelare il mistero sulla sua scomparsa e in tempi recenti si sono aperte nuove e intriganti piste investigative.

Buoni natali

Nato a Catania nel 1906, Majorana proveniva da un’illustre famiglia siciliana di ministri, scienziati e professori universitari (lo zio Quirino era presidente della Società di fisica d’Italia), ma superò per ingegno tutti i parenti. Nel 1923 entrò alla Scuola di ingegneria per poi passare alla Facoltà di fisica di Roma, dove nel 1929 su laureò a pieni voti. Il suo relatore era il futuro premio Nobel Enrico Fermi, e proprio grazie a lui Ettore fece il suo ingresso nell’istituto di fisica di via Panisperna insieme ad altri giovani scienziati tra cui Edoardo Amaldi, Emilio Segrè e Franco Rasetti. Un team destinato a rivoluzionare il mondo della fisica, effettuando la prima fissione nucleare artificiale di un atomo di uranio e ponendo le basi teoriche per la futura creazione della bomba atomica. Tra i “ragazzi di via Panisperna”, Ettore si fece subito notare per le sue capacità fuori dal comune. I suoi compagni lo battezzarono “il grande inquisitore”, mentre lo stesso Fermi lo paragonò a personaggi come Newton e Galileo. Un’esperienza negli istituti di fisica di Lipsia e Copenaghen, nel 1933, consacrò la sua fama di astro nascente, impressionando scienziati del calibro di Niels Bohr e Werner Heisenberg.

A meno di trent’anni, Ettore Majorana era dunque sulla cresta dell’onda. Dietro il profilo da genio si celava però un carattere fragile e chiuso, riluttante a pubblicare i risultati delle sue ricerche. Al ritorno a Roma, malgrado fosse corteggiato da università come Yale e Cambridge, Ettore attraversò un periodo di depressione. Poi, il 16 novembre del 1937 gli fu assegnata d’ufficio la cattedra di professione straordinario di fisica teorica dell’Università fi Napoli, “per l”alta fama di singolare perizia”. Il soggiorno napoletano durò appena quattro mesi. Alla fine di marzo 1938, Ettore era già un fantasma.

Strano addio

     Gli ultimi indizi li disseminò lui stesso, con una serie di lettere dal contenuto contraddittorio. Il 25 marzo, prima di imbarcarsi su un piroscafo da Napoli a Palermo, scrisse ai genitori una lettera che faceva pensare al peggio: “Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi“. Di tono simile un’altra missiva diretta al fisico Antonio Carrelli, con cui aveva stretto amicizia all’università: “Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile […] ti prego di perdonarmi“. Parole che sanno di imminente suicidio. Eppure, il 26 marzo Majorana sbarcò sano e salvo nel capoluogo siciliano. In un’ennesima lettera indirizzata a Carrelli sembrò aver fatto un passo indietro: “Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna […]. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento“. In seguito, Ettore acquistò un biglietto navale di ritorno per Napoli. Poi, più nulla.

Le indagini

Sulla scorta dell’allarme lanciato dai familiari, iniziarono le indagini ufficiali. Spuntò una prima testimonianza, quella del passeggero Vittorio Strazzeri, che dichiarò di aver visto Majorana sulla nave per Napoli. Non convinse gli inquirenti. Le ricerche in mare, intanto, non restituirono nessun cadavere. Cosa ancora più strana, si scoprì che prima di sparire Ettore aveva ritirato cinque stipendi arretrati e il passaporto. Il casi divenne una questione di Stato: per cercarlo, il governo mandò agenti in tutto il Paese e persino Mussolini insistette affinché si venisse a capo della vicenda. Nell’estate del 1938 la polizia segreta fascista finì in Cilento, dove alcuni pastori avevano avvistato un giovane fuggiasco vestito elegantemente nei pressi del vicino convento dei gesuiti. Anche in quel caso, le indagini finirono in un buco nell’acqua.

La tesi più probabile, è ancora oggi non smentita del tutto, restava quella del suicidio. Fin da subito, però, non convinse tutti. E se fosse fuggito per cambiare vita? Una delle prime ipotesi alternative alla morte è che lo scienziato si fosse nascosto in incognito in un convento. Alcuni decenni dopo, nel saggio La scomparsa di Majorana (1975), lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia ribadì tale teoria: secondo lui, il geniale Ettore avrebbe intuito in anticipo le conseguenze disastrose delle proprie scoperte sul piano bellico, cadendo in una sorta di crisi mistica e rifugiandosi nella certosa di Serra San Bruno, presso Vibo Valentia. Una tesi suggestiva, ma priva di riscontri.

Clochard e nazisti

La teoria del “Majorana monaco” fu solo una delle tante fiorite negli anni, e nemmeno la più fantasiosa. C’è stato chi lo ha identificato in un misterioso vagabondo, tale Tommaso Lipari, comparso nel Dopoguerra nella cittadina di Mazara del Vallo (Trapani) e morto nel 1973. Scontroso e riservato, si diceva che quest’ultimo avesse una cicatrice sulla mano, proprio come Majorana, e che fosse appassionato di matematica. La sua vicenda attirò l’attenzione del magistrato Paolo Borsellino, nel 1986 procuratore a Marsala, che aprì un’inchiesta per saperne di più. Il risultato non lasciò adito a dubbi: Lipari non era affatto Majorana, ma un ex carcerato nato nel 1900 a Tunisi.

Secondo un’altra ipotesi, il fisico si sarebbe trasferito in incognito in Germania (non si sa se volontariamente o meno) dove avrebbe collaborato con gli scienziati nazisti, finendo in Argentina in seguito alla caduta del regime hitleriano. La “pista nazista” non è l’unica a portare in America Latina. Nel 1987 l’ex professore universitario Erasmo Recami sostenne che lo scienziato fosse emigrato a Buenos Aires, dove avrebbe vissuto fino alla metà degli anni ’50. Per giungere a questa conclusione si basò su diverse testimonianze, tra cui quella di Blanca de Mora, moglie del premio Nobel per la letteratura Miguel Ángel Asturias, che avrebbe confidato candidamente a dei conoscenti: “Ettore Majorana? A Buenos Aires lo conoscevamo in tanti“. La permanenza nella capitale argentina sarebbe avvenuta alla luce del sole, con frequenti contatti con membri della comunità italiana.

Il caso si riapre

Una svolta sorprendente arrivò nel 2008, quando un ex emigrato italiano di nome Francesco Fasani telefonò alla trasmissione televisiva Chi l’ha visto?, facendo rivelazioni clamorose. Durante la sua permanenza nella città venezuelana di Valencia, a partire dal 1955, Fasani raccontò di aver stretto amicizia con un cinquantenne estremamente riservato che si faceva chiamare “signor Bini”. A svelargli che si trattava di Ettore Majorana sarebbe stato un altro italiano, un certo Carlo. Unica prova dell’esistenza di Bini, una vecchia fotografia conservata da Fasani, che lo ritrae insieme a un uomo sorridente dall’aria invecchiata. Era lui il fisico scomparso? Il racconto del supertestimone era dettagliato, tanto da spingere la procura di Roma ad aprire un’inchiesta, conclusasi nel 2015 con una tesi scioccante: Ettore Majorana si sarebbe “trasferito volontariamente all’estero permanendo in Venezuela almeno nel periodo tra il ’55 e il ’59.

     A supportare l’ipotesi ci sarebbero vari elementi, prima tra tutti l’analisi della foto di Fasani. Secondo il Ris dei carabinieri, infatti: “La comparazione del viso di Bini con quello di Ettore Majorana e con quello del padre dello scienziato, Fabio Majorana […] hanno portato alla perfetta sovrapponibilità delle immagini […], addirittura nei singoli particolari anatomici“. Ma c’è anche un altro indizio: una cartolina regalata da Fasani al fratello e ritrovata, a suo dire, nella macchina di Bini, sempre zeppa di carte e appunti. La missiva, datata 1920, contiene appunti relativi a ricerche sulla forza di gravità, ma a stupire è il mittente: Quirino Majorana, zio di Ettore. Come era finita nelle mani di Fasani? Stando alla procura, “Il reperimento di siffatta missiva nell’auto di Bini conferma la vera identità di costui come Ettore Majorana, stante il rapporto di parentela con lo zio Quirino […] e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi”.

Seconda vita?

     Malgrado le conclusioni dei magistrati, sulla presunta permanenza venezuelana di Majorana restano molti punti oscuri, che un’inchiesta giornalistica a provato a chiarire (vedi intervista ad Andrea Sceresini). Approfondendo le dichiarazioni di Fasani e con ricerche sul posto è venuto fuori che il nome Bini non risulta in nessun documento ufficiale. In compenso, si è riusciti a capire chi fossero alcuni personaggi a lui legati, come il fantomatico “signor Carlo”, l’uomo che avrebbe rivelato poi l’identità di Bini e Fasani, identificato con l’imprenditore Carlo Venturi. Ebbene, stando alla ricostruzione dell’inchiesta, dopo il rovesciamento del regime del dittatore Juan Domingo Perón (1955) Ettore, fino allora residente a Buenos Aires, sarebbe fuggito insieme a Venturi in Venezuela, assumendo una falsa identità e trasferendosi in un villaggio tra Valencia e Maracay. A poca distanza da lì, in quegli anni si stava per costruire il primo reattore nucleare dell’America Latina e non è escluso che Bini-Majorana abbia partecipato al progetto. Un ennesimo colpo di Stato militare, nel 1958, avrebbe portato il fisico a nascondersi in un convento dei cappuccini a Valencia. Da quel momento, anche la ricostruzione giornalistica si ferma. E la domanda “che fine ha fatto Majorana?” rimane ancora oggi senza risposta.

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SULLE TRACCE DI ETTORE MAJORANA

L’improvvisa scomparsa di Ettore Majorana è stata nel tempo oggetto di innumerevoli saggi e inchieste, non sempre attendibili. Una delle ricerche più approfondite sul tema è stata condotta nel 2015 dai giornalisti Giuseppe Borrllo, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini, autori del volume La seconda vita di Majorana (Chiarelettere).

Intervista ad Andrea Sceresini

Com’è nata la vostra inchiesta?

Siamo partiti dalla tesi formulata dal Tribunale di Roma, provando a verificare sul campo le conclusioni dalla sentenza e colmando alcune delle lacune che i magistrati italiani non avevano potuto approfondire, anche per via della reticenza del governo di Caracas a fornire informazioni. Per più di un mese, la nostra indagine ci ha così portato in giro per il Venezuela al fine di raccogliere informazioni di prima mano, testimonianze e documenti, visitando di persona i luoghi descritti da Francesco Fasani e tentando di rinvenire le tracce di Majorana.

Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato?

     Data la difficile condizione in cui versa il Venezuela, in alcune circostanze si rischiava persino spostandosi da una città all’altra. Rinvenire documenti provenienti dagli uffici statali, inoltre, è stato complicato. I continui rivolgimenti politici di cui è stato oggetto il Paese nel corso della propria storia, già a partire dagli Anni ’50, hanno comportato la distruzione di numerosi archivi e compromesso materiale potenzialmente utile per la nostra indagine. Ciò nonostante, abbiamo ricevuto anche inaspettati aiuti, come quello di una fonte italo-venezuelana, che ci ha messo a disposizione un’immensa banca dati elettronica con l’elenco di tutti gli stranieri giunti in Venezuela tra il 1943 e il 2004.

Quando vi siete accorti che la “pista venezuelana” poteva rivelarsi quella giusta?

Nel momento in cui abbiamo capito che il racconto di Fasani era corroborato da fatti concreti e non presentava sbavature, malgrado fossero passati molti anni dal suo ultimo incontro con il “signor Bini”. Oltre alle prove fornite alla magistratura, come la foto scattata con lui nel 1955 e la cartolina del 1920 riconducibile a Quirino Majorana, zio di Ettore, abbiamo infatti riscontrato che le persone e i luoghi evocati da Fasani non erano frutto di fantasia. Attraverso la nostra banca dati abbiamo potuto fare importanti passi avanti nell’identificazione di alcune figure chiave da lui menzionate, come Carlo Venturi e Leonardo Cuzzi, emigrati italiani in stretto contatto con Bini.

Che rapporto c’era tra Bini e Fasani?

I due si conobbero poco dopo l’arrivo di Fasani a Valencia e presto instaurarono un rapporto quasi filiale. Nonostante l’estrema riservatezza di Bini, Fasani riuscì a carpire alcuni dettagli significativi del personaggio: dalla data di nascita (1906) identica a quella di Majorana, ai piccoli foglietti di carta di cui era spesso coperta l’automobile del suo amico sui quali Bini annotava numeri, cifre e lunghe formule matematiche.

Esiste un legame tra la vostra inchiesta e la “pista argentina” già ipotizzata dal professor Erasmo Recami?

     Certamente. Le due vicende sono da mettere in continuità, come dimostrano le date, perfettamente compatibili. Nel raccogliere le testimonianze di coloro che avevano conosciuto Majorana a Buenos Aires, Recami aveva inoltre individuato una serie di indirizzi, dagli affittacamere che lo avrebbero ospitato ai salotti italoargentini che avrebbero frequentato. Ebbene, questi luoghi si trovavano a pochissima distanza all’abitazione di Carlo Venturi, l’imprenditore con cui Ettore sarebbe fuggito in Venezuela, circostanza che ci fa pensare che i due si conoscessero.

Durante il suo soggiorno in Sud America, che lavoro svolgeva, secondo voi, Majorana?

Molto probabilmente, fu coinvolto in progetti ingegneristici governativi sia in Argentina sia in Venezuela, sfruttando le proprie capacità in materia. Non possiamo escludere che collaborò alla costruzione del primo reattore nucleare dell’intera America Latina, sorto proprio negli Anni ’50 sulle colline a ovest di Caracas.

Quando si perdono le sue tracce in Venezuela?

Il 23 gennaio 1958, un golpe militare rovescia il regime del dittatore Marcos Pérez Jiménez. La sua caduta portò a una serie di brevi ma violente persecuzioni anti-italiane. A quel punto, sulla base di vari indizi trovati in loco, abbiamo ipotizzato che Ettore Majorana si sia rifugiato nel convento dei cappuccini di plaza Sucre, a Valencia. Non vi è certezza su cosa avvenne dopo, ma se è deceduto in Venezuela, potrebbe essere stato seppellito nel piccolo cimitero di Guacara, sulla strada tra Valencia e Maracay.

 

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