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Massimo Gallo

UN MEDIOEVO DA FIABA

Borgo di Acquapendente (Viterbo)

Fortezza nata come torre longobarda nel VI secolo e poi ampliata e modificata nei secoli.

UN MEDIOEVO DA FIABA

Le torri neogotiche di un maniero di antica origine longobarda dominano le case del borgo nell’Alta Tuscia. All’interno, le sale e i dipinti raccontano il sogno di eleganza e bellezza dei marchesi Cahen D’Anvers, proprietari dal 1880.

Lasciate alle spalle Orvieto e un pulviscolo di frazioni, la strada scivola in una piana inaspettata, nel giallo dei campi arati e tra macchie verde-argento di uliveti. Arrivando a Roma, la posizione sul navigatore lascia un po’ perplessi: non siamo più in Umbria, ma di nuovo nel Lazio. Del resto questa periferia estrema della provincia di Viterbo, incastonata tra il “Cuore verde d’Italia” e la Toscana, terra di frontiera lo è sempre stata. Lo dice anche il nome: piana “dell’Alfina” dal latino ad fines, “ai confini”, perché qui si stemperava l’ultima propaggine dell’Etruria meridionale e in tempi più recenti correva il confine tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana. Un punto di passaggio da presidiare in tutte le epoche.

Da torre longobarda a maniero signorile

Si spiega così l’apparire, in cima a un colle boscoso, di un castello squadrato e turrito, che dalla piana ha finito per prendere il nome. Eccolo Torre Alfina, uno dei “Borghi più belli d’Italia”, frazione di Acquapendente a 600 metri di altezza. Passeggiando tra i vicoli e la manciata di case in pietra si scorgono alcune installazioni d’arte contemporanea firmate dall’artista giapponese Mutsuo Hirano. Al centro di tutto però c’è il castello con le sue tante primavere, durante le quali la storia ha più volte lasciato il segno. In principio fu una torre di avvistamento, voluta dai Longobardi nel VI secolo. Nel corso del Medioevo, ormai fortezza, fu oggetto di continue dispute che culminarono nel 1553, anno in cui Sforza Monaldeschi della Cervara, signore di questi luoghi, la trasformò in buen retiro rinascimentale. Tra alterni passaggi di mano, la dimora cade poi nell’oblio per quasi due secoli, fino a quando nel 1880 un conte dal recente blasone, Edoardo Cahen D’Anvers (il titolo era stato conferito da Vittorio Emanuele II al padre Joseph) non so imbatte nella tenuta. E siccome vantare un titolo nobiliare ma non disporre di un feudo non si addice a un signore dell’epoca, finisce per acquistarla insieme all’adiacente bosco vetusto del Sasseto, procedendo ad una radicale ristrutturazione che le darà l’aspetto attuale. E cioè quello di un maniero neomedievale in pietra basaltica con bifore e torri merlate (prima inesistenti) secondo un modello molto in voga a fine Ottocento. Del resto a Cahen, nel frattempo divenuto marchese, non mancano certo i mezzi. Ricchissimo banchiere di origine ebraica, il conte è uno dei promotori della nascita del quartiere Prati a Roma, operazione che gli frutterà introiti colossali.

La galleria al piano nobile tra storia e natura

Aperto per la prima volta al pubblico nel 2014, il castello trasmette intatto il sogno visionario di questo elegante signore fin de siècle. Varcata la poderosa porta della facciata sud, ad accogliere il visitatore, a dispetto della differenza di stili, è una pcata armonia, grazie alla quale il grigio della torre del Cassero (l’antico baluardo longobardo) si fonde in un unicum con il doppio loggiato in mattoni rossi della corte rinascimentale. Le geometrie perfette del giardino all’italiana lambiscono la balconata, che si affaccia su un panorama che spazia dal monte Amiata fino alle prime creste dell’Appennino. Ma se è l’imprinting neogotico a modellare gli esterni, il gusto cambia all’interno delle sale. E qui, tra trompe l’oeil, paesaggi bucolici, scalinate e arredi originali, è uno stile più classico a trionfare. Come nella galleria del piano nobile intitolata a Rodolfo Cahen, uno dei figli di Edoardo, decorata a tempera dall’artista romano Pietro Ridolfi. Il pittore realizza, tra i numerosi soggetti, un ciclo dedicato alle Quattro Stagioni e una scena tratta dal “poema tragico” Sogno d’un tramonto d’autunno di Gabriele D’Annunzio, musicato proprio dal marchese: il Vate soggiornò qui e ancora rimane la sua camera. Da non perdere anche la grande cucina, vero spaccato di tecnologia primi ‘900, con scaldavivande in ghisa, utensili e ghiacciaia d’epoca, insieme allo scalone monumentale in marmo bianco, molto scenografico. Nel tripudio emerge, a tratti, il precedente impianto cinquecentesco: è il caso dei camini monumentali recanti ancora la scritta <<Sforza>> o della sala del piano nobile intitolata a Sforza Monaldeschi della Cervara, riaperta al pubblico nel 2016 e affrescata da Cesare Nebbia (1536-1614). Alcuni dettagli, come la cupola di San Pietro o il duomo di Orvieto non ancora terminati, collocano la datazione almeno prima del 1590.

Nei sentieri del magico bosco del Sasseto

Edoardo, scomparso nel 1894, non fece in tempo a vedere il castello ultimato. Le sue spoglie riposano ancora in un romantico mausoleo neogotico, da lui stesso voluto, nel cuore dell’amatissimo Bosco del Sasseto, 54 ettari di fitta macchia monumentale, all’epoca parco della resistenza. I sentieri furono progettati a fine ‘800 dai francesi Henri e Achille Duchêne, veri bio-architetti ante litteram. Disseminato di massi (da qui l’origine del nome), frutto di una colata lavica di 800 mila anni fa, grazie alla sua impervia conformazione il Sasseto nei secoli si è di fatto autodifeso. Il risultato è un ambiente incantato, davvero unico in Italia, popolato di alberi colossali di oltre trenta specie e tappezzato da smeraldini sassi muschiosi, felci e agrifogli. Proprietà del Comune di Acquapendente dal 2019, la sua fruizione è oggi rigidamente regolamentata. Forse questo renderebbe felice il marchese, la cui stirpe dovette abbandonare la tenuta a causa delle leggi razziali e della guerra. La dimora fu così condannata alla decadenza e ai ripetuti passaggi di mano: tra gli ultimissimi quello a Luciano Gaucci, l’ex patron del Perugia Calcio scomparso nel 2020. Proprietà di una società privata, oggi il Castello di Torre Alfina vive la sua ennesima nuova vita, quella di location di charme per incontri ed eventi. Con un diktat imprescindibile: favorire certamente il business, ma nel rispetto della storia e dei gusti dei Cahen D’Anvers.

 

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