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Massimo Gallo

CONTATTO VISIVO

CONTATTO VISIVO

Per farsi capire dalle persone, bisogna parlare prima di tutto ai loro occhi”. (Napoleone)

Il contatto visivo è il più potente mezzo di comunicazione che possediamo. Dobbiamo ricordare che l’efficacia comunicativa è legata molto più al linguaggio non verbale (L.N.V.) che alle parole. Il contatto visivo è certamente il più forte strumento non verbale.

Si ottengono molti benefici comunicativi con un efficace contatto visivo.

• Si trasmette emotivamente la sensazione del colloquio a due, mostrando sicurezza e interesse per l’interlocutore. Ricordate la forza che aveva lo sguardo dell’insegnante a scuola? Pensate al risveglio di attenzione che quel contatto visivo vi provocava!
• Si attenua il rischio di deconcentrarsi focalizzando l’attenzione solo sugli occhi dei singoli interlocutori e limitando, pertanto, il numero di Immagini distraenti trasmesse al cervello. Ovviamente è possibile ottenere la stessa concentrazione guardando un oggetto fisso (per esempio il soffitto o un lampadario), ma l’efficacia comunicativa non è certo la stessa.
• Si ottiene una notevole padronanza d’aula perché lo sguardo può tenere sotto controllo e osservare tutti i partecipanti. In questo modo siamo in grado di cogliere ogni piccolo segnale comunicativo come affaticamento, interesse, dubbio, desiderio di fare domande ecc. Ovviamente la sala e la disposizione del tavolo devono permettere una visione panoramica e un contatto visivo con tutti i partecipanti.
• Si attenua il nervosismo, perché nel momento in cui lo sguardo è lentamente proiettato sugli altri si ottiene un automatico rallentamento di tutte le altre attività motorie (gestualità, passi ecc.). Possiamo dire che il ritmo dettato dal contatto visivo condiziona anche il ritmo di dinamismo di tutto il corpo.

Troppi relazioni ignorano l’importanza del contatto visivo o forse, pur essendone consapevoli, sono dominati da una tensione che impedisce loro di sostenerlo. Costoro vanno incontro a una serie di errori come lo sguardo nel vuoto o alla parete, il contatto visivo concentrato su una sola persona, lo scanning.

Riassumiamo quanto detto con questo postulato: un efficace contatto visivo proiettato democraticamente su tutti i partecipanti favorisce la percezione di un oratore sicuro e padrone dell’aula.

Sguardo nel vuoto

Spesso ci troviamo di fronte a relatori che sono timorosi nel cercare il contatto visivo col pubblico e finiscono col guardare in basso oppure cercare ispirazione nel soffitto. Questo tipo di paura si manifesta spesso nei primi minuti di una presentazione, quando il relatore cerca, a volte, di evitare lo sguardo dei partecipanti.

A volte, superato questo momento iniziale, l’oratore riprende fiducia e inizia un dialogo visivo con le persone che ha di fronte. L’oratore che guarda nel vuoto genera due diverse sensazioni: la prima di insicurezza, la paura del pubblico; la seconda, la contrario, di disinteresse (“Se tu non mi guardi vuol dire che sei interessato solo al tuo copione, non ai partecipanti”).

Lo scanning

Altri presentatori praticano inconsapevolmente lo scanning (to scan significa “scorrere con lo sguardo, osservare”. Nel linguaggio comunicativo significa lanciare un’occhiata fugace, oppure scorrere con lo sguardo i visi delle persone senza però ottenere il contatto visivo), cioè quel rapido movimento d’occhi che scorre su tutti e su nessuno. Una specie di “toccata e fuga” visiva.

Spesso ciò si manifesta negli oratori che focalizzano la loro attenzione su un solo partecipante, opportunamente scelto quale interlocutore di fiducia o di riguardo. Ogni tanto però L’oratore avverte la necessità di rivolgersi anche agli altri, ma lo fa con un’occhiata fugace (scanning), non classificabile come contatto visivo, per poi tornare rapidamente a guardare la persona prescelta.

Lo scanning crea solo problemi di distrazione, in quanto gli occhi raccolgono una serie convulsa di informazioni visive che vengono inviate al cervello per l’elaborazione. Questo avviene nel momento in cui la nostra mente è concentrata e impegnata nello sviluppo di idee e nella selezione di parole.

Si crea inoltre il meccanismo di rimbalzo nervoso di cui abbiamo parlato in precedenza: dal nervosismo degli occhi all’iperdinamismo di tutto il corpo (gestualità accentuata, dondolio, passi nervosi ecc.), elementi che producono nello spettatore la sensazione di avere di fronte un oratore nervoso, preoccupato, certamente a disagio.

A chi rivolgere il contatto visivo?

A tutti indistintamente. L’oratore deve essere democratico e mostrare il proprio profondo interesse attraverso un sincero contatto visivo visivo proiettato su ogni partecipante.

Nella realtà gli errori più comuni dei relatori consistono nell’essere proiettati con lo sguardo verso alcuni eletti, scelti con criteri diversi, quali per esempio:
l’ordine gerarchico: rappresentato dal proprio superiore, da un personaggio di rilievo o dalla massima autorità presente in aula. L’oratore è talmente intimorito dalla presenza di questo tipo di partecipanti che li guarda attentamente per studiare ogni loro piccola reazione;
il volto amico: la tensione porta automaticamente l’oratore a rifugiarsi con lo sguardo negli occhi di una persona conosciuta, possibilmente un amico;
il volto compiacente: sotto l’effetto della tensione, l’oratore cerca con gli occhi coloro che danno segnali (segni di consenso) e manifestano il loro interesse annuendo. Lo sguardo di questi partecipanti è fortemente empatico, sembrano comunicare: “Ciò che dici è davvero interessante!”. L’oratore ne subisce il fascino, si innamora e comunica solo con loro. Purtroppo, a volte, questi segnali di consenso servono soltanto a mascherare profonde dormite. Sembra che siano molto abili nel dare segni di approvazione coloro che a scuola occupavano i primi banchi e hanno imparato, da bambini, a dormire a occhi aperti dando continui segnali di consenso, accompagnati da un velato sorriso;
le file di destra o di sinistra: sembra che esistano oratori destrogiri o levogiri, vale a dire relatori che hanno una forte predilezione per una sola fila dell’aula. In questo caso non esiste una selezione a soggetto (“Preferisco questa fila”), ma solo un’errata posizione in aula. A volte la posizione asimmetrica del relatore nella sala lo porta a proiettare lo sguardo sulla fila di fronte. Se per esempio l’oratore si posiziona a sinistra dell’aula, finisce involontariamente per guardare solo le persone alla sua destra. Non accettando il piccolo sforzo di posizionarsi al centro della sala creerà una fila orfana di contatto visivo.

Spalle al pubblico

Quando un oratore inesperto si trova a dover fare una presentazione avvalendosi di supporti visivi (per esempio slide, lavagna a fogli mobili o LIM), rischia di instaurare dialoghi molto interessanti solo con lo schermo o con la lavagna, dimenticandosi completamente che il contatto visivo va rivolto al pubblico.

La causa di questo problema è a volte legata a supporti visivi errati: per esempio a slide troppo ricche di informazioni, che costringono l’oratore a leggere il testo sulla slide stessa o sui propri appunti.

La percezione che ricevono i partecipanti è quella di un relatore poco preparato o almeno poco comunicativo, in quanto sembra molto più orientato al copione e alle proprie informazioni che al pubblico.

Altre volte è invece l’oratore che preferisce sfuggire lo sguardo del pubblico e rifugiarsi in una pseudolettura, vale a dire far finta di leggere lo schermo per attingere informazioni che non esistono o di cui non ha bisogno.

Così facendo esprime la sua paura del pubblico.

Contatto visivo su gruppi numerosi

Se ci troviamo di fronte a cento o più persone diventa improponibile un contatto visivo individuale.

Per nostra fortuna la distanza che ci separa dal gruppo numeroso è tale che il contatto visivo proiettato su una persona sarà percepito dall’intera fila che si trova in quella direzione.

L’abilità consiste in questo caso nel proiettare il contatto visivo su aree diverse di partecipanti: supponendo che i partecipanti siano disposti in lunghe file, si suggerisce di posizionarsi sul primo di ogni fila, in modo tale da dare l’impressione che tutti quelli che seguono ricevano lo stesso contatto visivo.

Il contatto visivo efficace

Può sembrare una domanda banale, ma la facciamo lo stesso: “Quanto deve essere lungo il contatto visivo per non essere giudicato scanning o viceversa per non essere prolungato e invasivo?”.

Il contatto visivo, per essere tale, deve durare almeno 3-5 secondi, anche se la valutazione cronometrica non ha molto senso, ben più importante è infatti quella insostituibile percezione soggettiva che ci dice: “Ci siamo visti!”. Nelle relazioni con gli altri possono passare inosservati molti comportamenti, ma raramente ci sfugge un contatto visivo comunicativo con le persone.

Occorre fare attenzione a non prolungare troppo lo sguardo sulla stessa persona, perché può creare imbarazzo, soprattutto in qualcuno.

Al contrario, il contatto visivo nella forma “ci siamo visti” gratifica tutti, anche i più timidi.

L’abilità dell’oratore consiste pertanto nel ruotare, con calma, il suo sguardo da una persona all’altra, cercando a intervalli brevi e regolari il contatto visivo con tutti.

Come si impara la tecnica del contatto visivo

Definito il contatto visivo efficace e individuati gli errori più frequenti ai quali si va incontro nel parlare in pubblico, riteniamo utile offrire adesso alcuni suggerimenti per migliorarlo.

1. Colloquio a due e in gruppi ristretti. È questa la pratica più semplice, che non richiede di essere relatori in una riunione. Possiamo esercitarci in tutti i colloqui che si presentano nella nostra vita, per esempio a tavola, in ufficio, negli incontri per strada ecc.

Siamo in genere convinti di praticare un buon contatto visivo, ma a un’attenta autoanalisi scopriamo di fare scanning, oppure di rivolgere lo sguardo solo su una persona, anziché ruotarlo lentamente su tutti coloro che ci stanno intorno.

2. Tecnica della sala vuota. È un’ottima opportunità di esercitarci in una sala riunioni, non solo per recitare il copione “presentazione”, ma anche per abituarci all’esercizio fisico di rotazione del busto e della testa con proiezione dello sguardo su ipotetici partecipanti. In pratica mentre parliamo spostiamo lentamente lo sguardo sulle sedie vuote: lo schienale della sedia rappresenta gli occhi del partecipante.

3. Tecnica delle mani in alto. Questa tecnica si pratica nei programmi di training. Si chiede a ogni partecipante di tenere la mano in alto e abbassarla solo quando l’oratore lo guarda negli occhi per almeno 3-5 secondi. Quando tutte le mani sono abbassate abbiamo la certezza che l’oratore ha degnato tutti almeno di un contatto visivo.

La tabella seguente rappresenta una sintesi dei benefici che possiamo ottenere da un efficace contatto visivo.

Contatto visivo
BENEFICI
1. Si esprime sicurezza.
2. Si trasmette interesse all’interlocutore.
3. Si controlla il nervosismo.
4. Si acquisisce padronanza d’aula.

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