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Massimo Gallo

ISABELLA MILANI - L'ARTE DI INSEGNARE - CONSIGLI PRATICI PER GLI INSEGNANTI DI OGGI: ESSERE INSEGNANTI

     Siamo insegnanti: dobbiamo avere ben chiaro che cosa ci su chiede di fare e perché abbiamo scelto questo lavoro, per essere credibili. Dovremmo iniziare la nostra carriera (o rivederla, se non siamo ancora soddisfatti di quello che abbiamo raggiunto fino ad oggi) partendo da una domanda: <<Perché insegno? Perché ho scelto questo lavoro?>>. Se siete insegnanti, chiedetevelo. È davvero indispensabile.

     Vi dico perché io ho scelto di insegnare. No, non vi dirò che ho sempre sognato di insegnare. Non è vero. I fatti della vita hanno deciso per me, ma poi mi sono innamorata dell’insegnamento.

     Mi piace pensare che i ragazzi hanno tutta una vita da vivere e io posso aiutarli ad affrontarla. So che la vita è molto impegnativa. So che a volte è dolorosa, che servono strumenti adatti e che se ne hai molti ti è più facile viverla bene. Per questo insegno, per dar loro degli strumenti. È come se sapessi che devono accingersi a fare un lungo e pericoloso viaggio e io fossi lì a controllare che abbiano preso tutto, a mettere nelle loro valigie tutto quello che posso, prevedendo che potranno avere sete, fame, freddo, caldo; che potranno ammalarsi, perdersi, stancarsi, annoiarsi. E mi arrabbio se mi accorgo che non mettono nella valigia cose che ritengo essenziali, perché mi preoccupo per loro, e rimprovero anche me stessa e tutto ciò che mi rende difficile equipaggiarli come si deve. Sono costretta a litigare con loro per riuscire a riempire la loro valigia, perché sono ragazzi e non si rendono conto di quanto è importante avere tutto quello che serve, perché durante il viaggio molte volte non potranno fermarsi a fare rifornimento, o non troveranno nessuno che vorrà o potrà aiutarli. Protestano perché non hanno voglia di fare la valigia, perché non sono ancora capaci di prevedere le difficoltà che incontreranno, perché sono abituati solo al <<qui e ora>>, e vogliono viaggiare leggeri, ma io non cedo.

     Studio continuamente, perché credo che noi insegnanti, per primi, dobbiamo chiederci se quello che mettiamo nella loro valigia va ancora bene.

Perché sono convinta che se continuiamo a indossare sempre gli stessi vestiti, da anni, o mettiamo, uguali identici, quelli che ci hanno passato i nostri genitori o i nonni, ci sono buone possibilità che vestiamo anche loro con abiti fuori moda che li faranno deridere o trovare in difficoltà. Molti insegnanti continuano a studiare per questo motivo. Ma non tutti.

     Se pensate come me, vi avverto che l’insegnamento è un lavoro molto frustrante; vorreste riempire quella valigia ma molto spesso non ci riuscite, perché non ci sono esperti che vi aiutino a riconoscere i deficit di apprendimento, o tutti gli altri problemi che i ragazzi possono avere: non c’è tempo, non ci sono spazi, non ci sono soldi. E poi, dovete combattere contro colleghi che pensano che l’insegnamento consista semplicemente nel travasare delle nozioni, contro dirigenti che vi possono mettere i bastoni fra le ruote, contro genitori che partono dal presupposto che se rimproverate il loro figlio è perché non capite nulla e non sapete fare il vostro lavoro e ce l’avete con lui.

     Bisogna entrare in classe, dunque, avendo le idee chiare su che cosa si deve insegnare, perché si devono insegnare quelle cose e come si devono insegnare.

Che cosa significano i verbi <<insegnare>> ed <<educare>>

     <<insegnare>> vuol dire <<far imparare qualcosa a qualcuno>> e deriva dal latino in signare, cioè <<tracciare dei segni, delle indicazioni>>.

     Per essere un buon insegnante, poi, non basta <<insegnare>>. Bisogna anche <<educare>>.

     Educare significa <<guidare nella crescita intellettuale morale>>; deriva dal latino ex ducere, che significa letteralmente <<tirare fuori, condurre fuori, guidare fuori>>. Significa quindi tirar fuori dal bambino e dal ragazzo ciò che ha dentro di buono, di positivo. Significa guidarlo verso la cultura e verso la vita. L’educazione, prima di tutto, è compito dei genitori. Ma non solo. Quando i bambini e i ragazzi ci vengono affidati diventa anche compito nostro. E se i genitori – come oggigiorno accade sempre più spesso – non li hanno educati, non possiamo esimerci dal farlo noi. Educare è molto più difficile che insegnare.

     Ci sono insegnanti che continuano a ripetere che vorrebbero che i ragazzi entrassero in classe già motivati, educati, responsabili, per poter fare tranquillamente il loro lavoro: insegnare. Ho letto, per esempio: <<Il mio lavoro consiste nell’istruire i ragazzi, nell’insegnare loro a ragionare e a pensare con la propria testa.>> Ma come si fa a insegnare a ragionare se prima non si insegna ad ascoltare? Come si insegna a pensare se prima non si motivano i ragazzi a farlo? Stare attenti e studiare non sono atteggiamenti che vengono naturali: bisogna impararli.

     Secondo me quegli insegnamenti dimenticano che, per avere alunni motivati, educati, responsabili, bisogna anche – prima di tutto – insegnare loro che studiare serve. E per farlo è indispensabile motivarli. Questo è compito nostro, non dei genitori. I genitori devono dare molti altri insegnamenti, che non necessariamente portano un ragazzo a studiare o a comportarsi bene in gruppo. E se gli insegnamenti che i genitori impartiscono a casa fossero il contrario di quelli che occorrerebbero per avere alunni educati che si impegnano, non possiamo lasciar andare le cose come vanno perché <<tanto non possiamo farcela>>.

     Di chiunque sia la responsabilità del comportamento dei ragazzi difficili, noi dobbiamo fare il nostro dovere e insegnare a tutti: come deve fare un medico, che non può rifiutarsi di curare un paziente scomodo, o maleducato, o violento.

     L’azione di educare e quella di insegnare presuppongono due persone: una che vuole insegnare e una che vuole imparare.

     Ecco: qualunque sia il motivo per cui insegnate, se non siete appassionati quando educate e insegnate, se non volete veramente insegnare ai vostri alunni, se non siete disposti a studiare continuamente, ad auto-aggiornarvi, a mettervi sempre in discussione, ad accettare anche i ragazzi problematici, non potete essere davvero insegnanti efficaci. Gli alunni se ne accorgono, se siete mossi da passione o da semplice necessità di lavorare e provate noia e fastidio. L’ho già detto: la passione è contagiosa. Come noia e il fastidio, appunto. Siamo noi quelli che devono fare in modo che l’alunno voglia imparare.

Essere, ma anche apparire

     Ancora prima di entrare in classe, è importante che abbiate chiaro anche il fatto che, se si vuole essere bravi insegnanti, è necessario essere davvero preparati e capaci di trasmettere quello che si sa. In altre parole: dovete aver studiato bene la materia che insegnate, perché, se non la conoscete, quando parlate tentennate e apparite impacciati. E questo non significa che non vi possa capitare di sbagliare o di non conoscere un particolare. Chi è più preparato sa quanto è immerso il sapere e quanto è assurdo pretendere di sapere tutto.  Insegnate questo concetto agli alunni e, se sbagliate, non abbiate paura di riconoscerlo. Capiranno.

     Per riuscire a insegnare davvero quello che sapete è essenziale essere capaci di interessare gli alunni e, ovviamente, di mantenere la disciplina, senza la quale nessuno riesce ad ascoltarvi.

     Conquistare la stima di venticinque o trenta alunni diversi fra loro è un’impresa non facile: ci vuole tempo, pazienza, impegno e attenzione. Potete riuscire a conquistare e mantenere la stima. Ma potete anche perderla in un attimo. Ed è facilissimo, ma dovete combinarne una davvero grossa. Basta tenere uno dei comportamenti che i ragazzi non perdonano:

  • Un insegnante, per loro, deve essere giusto. Quindi non perdonano le ingiustizie. Se, anche una sola volta, fate un’ingiustizia, li deludete e perdono la fiducia che avevano riposto in voi.
  • Un insegnante deve essere adulto. Se vi comportate come un bambino, per esempio facendo una cosa per ripicca, cessano di considerarvi una persona matura.
  • Un insegnante deve essere onesto. Se vi scoprono falso o bugiardo, si sentiranno traditi e non vi crederanno più.
  • Un insegnante deve essere coerente. Se cambiate idea ogni minuto, se dite una cosa e ne fate un’altra, vi consideranno una banderuola.
  • Un insegnante deve essere serio, misurato. Se vi mostrate eccessivi, apparirete ridicoli e vi derideranno.
  • Un insegnante deve essere un insegnante. Se vi atteggerete ad amiconi, cercheranno di darvi delle pacche sulle spalle, ma vi considereranno patetici, e non vi stimeranno: dovrete evitare, pur rimanendo voi stessi, tutti gli atteggiamenti troppo lontani dal vostro ruolo di educatori.

     Ma non basta <<essere>>; bisogna anche <<apparire>>: essere e apparire preparati, essere e apparire forti; essere e apparire sicuri di voi stessi; essere, ma anche apparire comprensivi, giusti, equilibrati ecc.

     Bisogna apparire, oltre che essere, corretti e disponibili. Se siamo disponibili dobbiamo dichiararlo, che saremo sempre disponibili. E dobbiamo ostentare la gentilezza, sottolinearla, farla notare a tutti.

     Se quando diamo i voti sappiamo di aver fatto di tutto per essere giusti, non dobbiamo credere che il fatto di avere la coscienza a posto sia sufficiente: è importante spiegare molto bene ai ragazzi come li valuteremo. Più glielo spieghiamo e più lo capiscono. Dare un 6 in un’interrogazione a un alunno di scuola media che ha studiato pochissimo perché si ritiene che non sia proficua per lui una bocciatura, senza aver mai spiegato il concetto generale agli alunni, appare una perfetta ingiustizia. Un insegnante deve essere giusto. Ma deve anche apparire giusto. Specialmente nei voti.

Gli alunni vi vedono come vi vedete voi

     Ecco un concetto importantissimo: gli alunni vi vedono come vi vedete voi. Quindi, prima di chiedervi come vi vedono gli alunni, dovete chiedervi come vedete voi stessi. Noi comunichiamo loro l’idea che abbiamo di noi stessi.

  • Se ci vediamo come insegnanti che non hanno le idee chiare, loro ci vedranno confusi.
  • Se ci vediamo come insegnanti che forse non riusciranno a interessarli, loro ci percepiranno come noiosi e disorientati.
  • Se ci vediamo come persone che temono di essere prese in giro, che non hanno la capacità di reagire, state sicuri che ci prenderanno in giro. E non ci seguiranno. Non si segue una guida che appare timorosa di perdersi per la città.
  • Se la fama che abbiamo è <<Con quell’insegnante si può fare confusione quando si vuole perché tanto non ci succede nulla>>; <<Quell’insegnante è ridicolo, è noioso, è ingiusto>>, non abbiamo il prestigio necessario a farci ascoltare. Non abbiamo autorevolezza. E perciò si sentiranno in diritto (e in dovere) di mancarci di rispetto.

     Nel rapporto alunno-insegnante un altro elemento chiave, infatti, correlato all’autorevolezza, è il rispetto. Il rispetto è un atteggiamento di stima verso una persona che è, o viene ritenuta, superiore o particolarmente degna, ed è anche un sentimento di riguardo e di attenzione, che ci trattiene dall’offenderla, dal trattarla bruscamente o in modo inadeguato. È evidente che se noi abbiamo una bassa stima di noi stessi e di quello che vogliamo insegnare, se noi per primi non riconosciamo il nostro ruolo di insegnanti, difficilmente riusciremo a conquistare il rispetto e la stima degli alunni.

     Dunque: prima di entrare in classe lavorate sulla vostra autostima e chiaritevi qual è il vostro ruolo; convincetevi di essere in gamba e capaci di conquistare la fiducia e la stima degli alunni.

Il ruolo dell’insegnante

     Un tempo l’autostima, almeno in classe, ci veniva data assieme al titolo di studio e ci veniva rafforzata dal riconosciamo sociale del nostro ruolo: si sapeva che, per il fatto stesso di avere un titolo di studio, sareste stati <<il signor maestro>>, <<il signor professore>>. Ora, per la società, in cuor vostro sapete di essere solo <<il signor sfigato>>. E potete soltanto cercare di costruirvi la stima sociale degli alunni e dei genitori. Ma la vostra autostima non deve dipendere dal fatto che gli alunni si alzano in piedi quando entrate.

     Se siete convinti del fatto che è un dovere degli alunni quello di non mancare di rispetto all’insegnante, non dovete accettare che vi si manchi di rispetto. Neanche per un attimo. Questo deve trasparire. Deve essere evidente a tutta la classe che non siete persone a cui si possa mancare di rispetto. È importante, però, che siate davvero convinti del fatto che nel rapporto alunno-insegnante il rispetto deve essere assolutamente reciproco. Deve essere chiaro agli alunni che l’insegnante pretende rispetto, perché non mancherà mai loro di rispetto. Il rispetto – vero- che avrete verso gli alunni renderà loro difficile trattarvi male.

     Capita molto spesso, anzi, che un insegnante autorevole e severo venga percepito, da alunni abituati a essere liberi da qualsiasi regola, come un insegnante <<rompiscatole>>, e, da genitori permissivi, come <<esagerato>> o <<insensibile>>, soprattutto perché spesso i rimproveri fatti agli alunni sui ritardi, sulle assenze, sulle giustificazioni vengono considerati (e a volte sono) come rimproveri anche alla famiglia. Ma bisogna avere pazienza e, alla fine, i ragazzi e i genitori capiranno.

     Soprattutto, ricordate: non siete loro amici.

     Mi rivolgo in particolare ai più giovani: siete giovani, lo capisco, ma questo non vi deve far dimenticare un concetto educativo base. Dal momento in cui vi sedete in cattedra cessate di essere <<ragazzi>>, anche se avete meno di trent’anni. Se invece vi sedete sopra la cattedra, venite percepiti come <<ragazzi>> e diventa molto più difficile far capire il ruolo che avete.

     L’insegnante non deve sperare di essere <<amico>> dell’alunno. L’insegnante, come il genitore, deve essere una guida, un allenatore, un coach. Non un amico. Meritare la fiducia e la stima di un ragazzo è molto importante. Se ci riuscite, il ragazzo si confiderà con voi e voi potrete aiutarlo meglio. È questo che desidera, in realtà. Gli amici li ha già.

     Non dobbiamo mai dare l’impressione che il nostro sia un rapporto alla pari. Non lo è: è un rapporto asimmetrico, come dovrebbe essere quello fra genitori e figli. <<Asimmetrico>> significa che uno è su e l’altro è giù. Il ragazzo sta più in basso perché sta imparando, non perché è meno importante. È una questione di ruoli diversi, non di importanza diversa.

     Se entrate in classe come se foste uno di loro, vi tratterannocome uno di loro, si rivolgeranno a voi con battute da bar, risponderanno <<Non ne ho voglia>>, <<Chissenefrega>>, <<Non rompere>>; vi manderanno a quel paese e vi insulteranno. Proprio come fanno con gli amici.

Gli insegnanti sono tutti diversi

     Non c’è un solo modo di insegnare, un solo modo di porsi, un solo tono della voce efficace. Se siete timidi, non riuscirete, come per magia, a diventare sicuri. Ma dovrete imparare ad apparire tali. Se nella vita quotidiana siete persone taciturne e riservate, non diventerete loquaci e comunicativi solo perché lo volete. Ma è necessario che impariate a sembrare più aperti.

     Ma se nella vita quotidiana siete bruschi, autoritari, vendicativi, musoni, esageratamente ansiosi, irascibili o iracondi, dovete sforzarvi a cambiare. Chi ha queste caratteristiche difficilmente sarà un’insegnante efficace. Ecco alcuni suggerimenti per diventare una vera guida per gli alunni.

  • Se insegnate la vostra materia esattamente come si insegnava trent’anni fa, quando i ragazzi, i genitori, gli adulti e la società erano diversi, vi invito a mettere in discussione la vostra didattica.
  • Se non tenete in nessun conto, quando insegnate, il mondo esterno, vi suggerisco di farlo, perché la Scuola non può trasmettere contenuti e capacità inutili nell’attuale mondo lavorativo.
  • Se cercate di imporre agli alunni solo le vostre idee, vi invito a non farlo: i ragazzi devono imparare a pensare con la loro testa, per non essere preda, nella vita, di chi saprà imporre loro le sue idee.
  • Se credete che quello che avete studiato a Scuola e all’Università basti per sempre, come bagaglio di conoscenze da trasmettere, vi invito a ricredervi e ad aggiornarvi continuamente.

Ma, detto questo, ognuno di voi è una persona speciale, con il suo modo di essere, di pensare, con il suo bagaglio di competenze e conoscenze. Dovete trovare da soli la vostra strada, come insegnanti.

Insegnanti di Scuola primaria, di Scuola secondaria di 1° e di 2° grado, e oltre

     Dobbiamo chiederci se i problemi e ke soluzioni dell’insegnamento sono gli stessi in ogni ordine di Scuola. La mia risposta è <<No>>, nel senso che non posso rivolgermi allo stesso modo, con le stesse parole, con lo stesso atteggiamento e lo stesso volume della voce a un bambino di sette anni e a un ragazzo di diciassette. È ovvio!

     Ma ci sono alcuni concetti – basilari – che credo possano essere validi dalla scuola Primaria all’Università. Principalmente sono questi:

  • Bisogna conoscere i bambini, i ragazzini o i ragazzi, in generale (secondo l’ordine di Scuola in cui insegniamo): sapere quello che possono fare e, soprattutto, quello che non sono in grado di fare a ogni età; quali problemi possono avere; quali sono i loro interessi. Leggere! Studiare! Aggiornarsi! Non possiamo continuare a basarci sul bambino, sull’adolescente o sul ragazzo che siamo stati. E neppure sull’esperienza che abbiamo avuto dando ripetizioni alla figlia di nostra sorella. Dobbiamo studiare bene il mondo dei nostri alunni, perché è da lì che dobbiamo entrare per raggiungerli.
  • Bisogna conoscere benissimo la materia che insegniamo, aggiornandosi sempre e mettendo in discussione tutto. Quello che abbiamo studiato a Scuola o all’Università forse non basta più. E bisogna studiare il mondo lavorativo nel quale la materia che insegniamo verrà utilizzata dai nostri alunni. Dobbiamo conoscere perfettamente e precisamente a che cosa serve quello che spieghiamo.
  • Bisogna essere in grado di prevedere i problemi che possono sorgere e saper studiare le strategie più adatte; saper individuare, analizzare e capire il problema specifico per quell’alunno e per quella classe, e, solo dopo, trovare delle strategie mirate per risolverlo.
  • Bisogna conoscere le strategie per una comunicazione efficace: saper catturare la loro attenzione (e c’è un modo diverso per ogni età), saper mantenere alto l’interesse, saper comunicare ciò che riteniamo utile, in modo che venga recepito. Bisogna studiare. Anche qui, non ci si può improvvisare comunicatori.
  • Bisogna mettere in discussione quello che abbiamo fatto fino a oggi e chiederci se va ancora bene, se è ancora attuale. Questo è forse il concetto più importante. Il mondo si evolve ad alta velocità, mentre la Scuola cambia a velocità di lumaca: è essenziale, perché gli alunni ci percepiscano come autorevoli, che ci considerino come persone della loro epoca, e non come dinosauri.
  • Bisogna imparare a insegnare proprio per <<insegnare>> e non <<perché c’è il voto>> e <<perché c’è l’esame di Stato>>. Come noia diciamo agli alunni che non devono studiare per il voto, credo che si possa dire allo stesso modo che noi non dobbiamo insegnare per il voto.
  • Dobbiamo riprendere in mano le redini dell’insegnamento e smettere di essere ostaggio dei voti e degli esami: prima deve venire l’alunno e quello che dobbiamo insegnargli perché sappiamo che gli servirà per affrontare la vita lavorativa; poi vengono i voti, gli esami, la burocrazia: bisogna studiare per vivere e non soltanto per prepararsi all’esame. Gli insegnanti della Scuola Secondaria di II grado sono restii a insegnare anche qualcosa che non sia nel programma: <<Non c’è tempo e bisogna finire assolutamente il programma, altrimenti i ragazzi possono trovarsi in difficoltà all’esame di Stato>>. Invece è importante mettere in discussione questa convinzione.
  • Bisogna imparare a emozionare, a coinvolgere, a entusiasmare, perché senza emozione, partecipazione ed entusiasmo non c’è apprendimento.
  • Bisogna imparare a recitare.
  • Bisogna interessarsi degli alunni e della loro vita, oltre che della loro pagella.

Se siamo preparati, interessanti, capaci di emozionare, di coinvolgere e di comunicare, saremo rispettati. Qualunque sia l’età dei nostri studenti. Anche all’Università.    

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