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Massimo Gallo

Discipline Letterarie

LA NASCITA DEL VOLGARE

Contemporaneamente alla nascita dei regni romano-barbarici, fanno la loro comparsa, nello scenario culturale europeo, le lingue neolatine o romanze (italiano, francese, provenzale, catalano, spagnolo, portoghese, ladino, rumeno); ma quando e come vengono alla luce queste nuove entità linguistiche? L’esistenza di un latino <<parlato>> (o latino volgare), utilizzato quotidianamente dal popolo e sensibilmente diverso dal latino <<classico>>, è attestata già in età repubblicana: lo stesso Cicerone parla di sermo plebeius (linguaggio plebeo), vale a dire di un registro linguistico meno formale, legato evidentemente a un uso più domestico e familiare della lingua. Tra il III e il IV secolo d.C. l’uso del latino parlato, in rapporto ai decisivi mutamenti sociali che rivoluzionano l’assetto dell’Impero, si rafforza e si estende, mentre al contempo acquisisce strutture profondamente diverse da quelle del latino ufficiale. Durante i primi secoli del medioevo le lingue neolatine mancano di testimonianze documentarie, in quanto sono in via di formazione e non costituiscono uno strumento ben definito: bisognerà attendere il IX secolo perché la consapevolezza dell’avvenuta diversificazione trovi un concreto riscontro in documenti scritti.

     In Italia il primo scritto che presenti elementi di lingua volgare è dato dal noto Indovinello veronese, databile tra VIII e IX secolo. Ecco il testo: Se pareba boves, alba pratalia araba, et albo versorio teneba, et nero semen seminaba (Si spingeva avanti ai buoi, arava un campo bianco, e teneva un bianco aratro, e seminava nero seme). L’indovinello allude alle dita di chi scrive, al foglio di carta, alla penna e all’inchiostro. Le testimonianze più famose, e forse anche più significative, dello sviluppo del volgare sono rappresentate, tuttavia, dai quattro placiti campani, detti anche cassinesi perché conservati nell’archivio dell’Abbazia di Montecassino. Il più importante di essi, il Placito capuano, risale al 960; si tratta di un testo riportato dal giudice Arechisi, che si trova a dirimere una questione giuridica sorta tra il monastero di Montecassino e un tal Rodelgrimo di Aquino per l’attribuzione di certe terre: Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti (So che quelle terre, entro i confini che qui si definiscono, per trent’anni le ha possedute l’amministrazione patrimoniale di San Benedetto). Tra XII e XIII secolo compaiono inoltre i primi tentativi di composizioni volgari, i cosiddetti <<ritmi>>, testi in versi di esplicita origine popolare e giullaresca, uniti da assonanza e privi di uno schema metrico fisso. Tra essi si ricordano il Ritmo laurenziano, contenente una composizione in rima nella quale l’anonimo autore chiede a un vescovo il dono di un cavallo; il Ritmo cassinese, un dialogo o contrasto in cui un occidentale sostiene il valore della vita pratica e un orientale la superiorità di quella contemplativa; e il Ritmo su sant’Alessio, composto probabilmente in area marchigiana e contenente la rielaborazione agiografica della vita del santo.

     Senza rinnegare l’importanza di queste testimonianze, è fondamentale tener presente che questa chiara e certificata presa di coscienza dell’esistenza del volgare non corrisponde, tuttavia, a una sua immediata <<ufficializzazione>> né impedisce alla lingua latina di conservare l’indiscussa prerogativa di lingua ufficiale. Un decisivo passo avanti, in questo senso, verrà compiuto solo nel XIII secolo quando il volgare, acquisita anche la dignità letteraria, vedrà in breve compiersi il proprio destino di lingua nazionale.

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