ProfMassimoGallo

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Massimo Gallo

Storia

Erodoto
I FONDAMENTI EPISTEMOLOGICI DELLA “STORIA” DALL’ANTICHITÀ AD OGGI

Il significato dei termini “storia” e “storiografia”

     Chiedersi “che cosa sia la storia” non può esimersi da una riflessione puntuale e costante sul significato del termine “storia”. L’etimologia della parola risale al greco “historia” (da historéo) e significa “indagine, investigazione, ricerca”[1]. Pertanto “historiografòs“, lo storico, è colui che indaga, investiga, ricerca. Chiarita la derivazione etimologica, possiamo capire meglio la distinzione me “res gestae“, cioè come racconto di fatti accaduti nel passato e “historia rerum gestarum“, cioè come scienza che racconta ciò che del passato è stato possibile ricostruire in base ai documenti a noi pervenuti[2]. Questa distinzione, tanto cara a Croce, non è condivisa da tutti gli studiosi che sottolineano come nel termine “storia” siano compresi ambedue i significati: gli eventi del passato da un lato e i racconti degli stessi dall’altro. A noi piace “sposare” la teoria crociana, anche perché ci permette di capire il motivo per il quale di “storia” si possono dare tante definizioni (esempio la storia come “narrazione di fatti” di G. Humboldt o come “scienza dell’uomo nel tempo” di M. Bloch), ognuna delle quali corrisponde ai diversi punti di vista che lo storico ha su di un determinato argomento.

     Questa pluralità di punti di vista è ciò che chiamiamo “storiografia” che è fondamentale nello studio della storia, perché consente allo studente di maturare una coscienza critica e una propria visione dei fatti storici ed è sottolineata dalle indicazioni nazionali, così come era richiamata nei “vecchi” Programmi Brocca. Il richiamo esplicito alla storiografia è importante perché fa comprendere ai giovani come la storia non è “scritta per sempre”, ma “si evolve con civiltà degli uomini e con gli avvenimenti che segnano la loro esistenza”[1]. È questo il compito che spetta al docente di storia: far capire agli alunni che anche la storia gode di una sua validità scientifica pur non essendo “scritta per sempre”.

La storia come “ideologia” e la storia come “scienza”

     È anche vero che molti insegnanti sostengono che la storia è “ideologia” e non scienza, basti pensare alle motivazioni prettamente ideologiche che spingono a scegliere un libro di testo piuttosto che un altro; la storia è “ideologia”, perché i fatti storici sono “unici e irripetibili” a differenza di un esperimento di fisica, perché lo storico opera una selezione di ciò che deve trattare alla luce dei propri interessi e ideologie, perché lo storico, a differenza dello scienziato, cerca di comprendere il perché degli avvenimenti dall'”interno” e non si limita a indagare le cause dei fatti come lo scienziato, perché lo storico esprime sempre un giudizio, lo scienziato è invece avalutativo e oggettivo[1]. Questo vuol dire che la storia è “ideologia” ma anche “scienza”, se pensiamo all’approccio metodologico. Infatti, come sostiene K. Popper, tutte le scienze, anche quelle umanistiche, si rifanno ad un metodo scientifico e il metodo scientifico consiste in tre passaggi fondamentali:

> inciampiamo in qualche problema;

> tentiamo di risolverlo, proponendo qualche teoria;

> impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che sono resi presenti nella discussione critica

   dei nostri tentativi di soluzione; in breve procediamo per: problemi, teorie, critiche.

     Se il metodo scientifico consiste nell’avanzare ipotesi e controllarle empiricamente, lo storico, quando risponde alle domande “cosa, come e perché è accaduto”, procede allo stesso modo dello scienziato; solo quando, appurata l’esistenza di un fatto, come e perché si è verificato, lo storico si chiede quale sia il suo significato alla luce di una filosofia o ideologia, egli non fa più scienza ma ideologia appunto. Quindi la storia è scienza, perché adopera un metodo scientifico, che può diventare ideologia[2]. Il compito a cui il docente è chiamato è quello di evitare il pericolo dell’indottrinamento ideologico e fornire agli studenti una conoscenza dei fatti a più largo spettro, inserendoli sempre in quadri di riferimento storici più ampi, in quella che K. Popper definisce “la logica della situazione” (esempio il tema della questione ugonotta nel tema più vasto della Riforma e Controriforma cattolica). L’apprendimento secondo la “logica della situazione” rende meno mnemonico e più riflessivo lo studio della storia e, solo offrendo allo studente le strutture logiche di ragionamento, egli potrà riflettere criticamente su ciò che viene spiegato.

Cos’è un “fatto storico”?

     Come faceva notare E. Carr un fatto storico è, per dirla parafrasando Pirandello, “come un sacco”, ovvero ognuno ci mette qualcosa dentro e un fatto, una battaglia, un evento diventano storici solo quando risvegliano l’interesse dello storico. Nel caso, ad esempio, del passaggio di Cesare sul Rubicone, è lo storico ad aver deciso che, dal suo punto di vista, il passaggio in questione è più importante di tanti passaggi compiuti da milioni di individui prima o dopo Cesare[1]. Non tutto ciò che accade è di importanza per lo sviluppo storico: ad esempio, di quante portate fosse la colazione che facevano Luigi XVI e Maria Antonietta non ha lo stesso valore “storico” delle scelte politiche del re di Francia. Eppure potrebbe accadere che un domani “il numero di portate della colazione dei reali di Francia” possa suscitare l’interesse di altri storici e diventare oggetto di interpretazione. L’essere considerato o meno un fatto storico è solo una questione di interpretazione. Alcuni fatti, eventi, documenti, immagini presi singolarmente non hanno alcuna valenza storica; compito dello storico e anche dell’insegnante è quello di analizzarli, contestualizzarli, interpretarli, giudicarli. Per la storiografia di matrice positivistica tutti i fatti sono considerati ugualmente importanti, ma a noi piace sottolineare, invece, che la scuola non deve rincorrere la cronaca e che compito degli insegnanti è quello di non far apprendere le nozioni agli allievi, ma di aiutarli a maturare nello sviluppo di capacità riflessive e critiche così da renderli autonomi nelle analisi e interpretazioni. Del resto, come afferma lo storico J. Huizinga, “la storia non è il racconto (cronaca) del passato ma fornisce una certa rappresentazione (interpretazione) di un certo passato, un quadro comprensibile di un frammento del passato […], è un dar forma al passato”[2]. Questa posizione è condivisa da B. Croce che afferma che laddove manchi nello storico la capacità di interpretare e valutare, essa si riduce a “filologia […] ignoranza fastosa che è l’erudizione”[3]

Le categorie di “tempo” e “spazio” storico

     Una volta risposto, se pur in parte per la sua complessità, alla domanda “che cos’è la storia”, passiamo ad esaminare quelli che sono definiti come “i presupposti ineliminabili di ogni ricostruzione storiografica”, il tempo e lo spazio storico. La storia riguarda il tempo, ma quale tempo? E quale “spazio” storico? Se la storia ha lo scopo di comprendere il presente a partire dalla conoscenza del passato, non dovremmo prima comprendere il passato per far luce sul nostro presente? B. Croce affermerà che la storia ci “libera dal passato” e che è sempre “storia contemporanea”, volendo affermare con questo una unità tra passato e presente e che il lavoro dello storico, pur rivolto a ricostruire fatti remoti e lontani, nasce sempre da un bisogno pratico di vivere il presente. Lefebvre sosteneva che “la funzione sociale della storia era organizzare il passato in funzione del presente”; F. Braudel identificò tre tempi della storia: quello breve (il tempo degli avvenimenti), quello medio (il tempo della organizzazione dei fenomeni sociali-economici e politici), quello lungo (il tempo delle strutture storiche che cambiano lentamente). J. Le Goff, esponente della storiografia delle Annales, pur accettando la definizione di storia come “scienza del passato”, sottolineava, però, che anche il passato non può essere sempre letto allo stesso modo e che è continuamente oggetto di “revisione” da parte dello storico alla luce di nuove conoscenze, sensibilità, interessi. Ecco perché se allo studente viene richiesto al termine del percorso liceale di conoscere la storia d’Italia del Novecento, questo non vuol dire abbandonare del tutto lo studio della storia greca e romana, perché non dobbiamo dimenticare ancora una volta la lezione crociana secondo la quale è il lavoro dello storico che rende contemporaneo un evento del passato e che ciò che deve maturare nello studente è una “capacità interpretativa e critica” che si può ottenere anche con lo studio della storia greca e romana. Con i programmi Brocca si dette molta importanza alla conoscenza della storia del Novecento nell’ultimo anno del triennio per “scoprire la dimensione storica del presente”, “per considerare in un’ottica di complessità soggetti, azioni, comportamenti, valori”, formare cioè coscienze sensibili alle problematiche principali del mondo contemporaneo. Oggi tra le competenze e conoscenze richieste agli studenti si sottolinea l’importanza del “conoscere […] la storia d’Italia inserita nel contesto europeo e internazionale, dall’antichità ai nostri giorni” e di conoscere “i presupposti culturali e la natura delle istituzioni politiche, giuridiche, sociali ed economiche, con riferimento alla storia d’Italia e d’Europa, per comprendere diritti e doveri che caratterizzano l’esser cittadini”.

[1] Cfr. Erodoto, Storie, I, I e 2, 118, 119.
[2] Cfr. B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Laterza, Bari 1963.
[3] Cfr. G. Lefebvre, Riflessioni sulla storia, Editori Riuniti, Roma 1976.
[4] Cfr. P. Masat Lucchetta, Epistemologia e Storiografia, Editrice La Scuola, Brescia 1981.
[5] Cfr. K. Popper, Problemi, scopi e responsabilità della scienza, in Scienza e Filosofia, trad. it., Einaudi, Torino 1969.
[6] Cfr. E, Carr, Il fatto storico, Einaudi, Torino 1976.
[7] Cfr. J. Huizinga, La scienza storica, Laterza, Bari 1974.
[8] Cfr. B. Croce, op. cit.

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